L’informazione di San Marino: “La Richiesta dei tabulati dei giornalisti contraria ai dettati della Cedu”

L’informazione di San Marino: “La Richiesta dei tabulati dei giornalisti contraria ai dettati della Cedu”

Rassegna Stampa – Cronisti trascinati indebitamente in giudizio da Bcsm e dal Governo Le discutibili indagini degli inquirenti

ANTONIO FABBRI. Riprendiamo la ricostruzione della kafkiana vicenda dei giornalisti trascinati indebitamente a giudizio da Enti dello Stato, Bcsm il Governo e l’Eccellentissima camera, che hanno accusato senza fondamento i cronisti, che hanno svolto professionalmente e onestamente il loro lavoro, di divieto di pubblicazione di atti coperti da segreto che segreti non erano.

Alla gravità di due denunce prive di fondamento, corredate di ricostruzioni strumentali, di talune asserzioni non vere oltre che di una interpretazione distorta ed erronea della legge, come non ci si aspetterebbe – e come sarebbe diritto non subire – da parte di Enti dello Stato – si è però unita una discutibile istruttoria, verrebbe da dire una supina accondiscendenza degli inquirenti, che anziché vagliare e valutare, hanno piuttosto seguito la linea accusatoria distorta ed erronea dei denuncianti, nonostante i giornalisti indagati e i loro difensori avessero fin dal primo momento fatto ben presente, carte e norme alla mano, che le accuse nei loro confronti erano infondate, poiché i fatti non erano come descritti dai denuncianti, il segreto dagli stessi preteso era inesistente e, in ogni caso, i giornalisti avevano fatto il loro lavoro nel rispetto delle leggi, della loro deontologia – anch’essa legge – delle norme superiori e dei principi fondamentali contenuti nelle norme sovraordinate, come la Carta dei Diritti.

Tutte circostanze che chi è chiamato ad applicare il diritto dovrebbe avere ben presenti, soprattutto se gli vengono evidenziate… ma così non è stato.

Criticabili atti di indagine Si è già detto dell’interrogatorio del giornalista Antonio Fabbri nel quale era stato da questi spiegata la piena legittimità del proprio operato, l’ufficiale richiesta di accesso al fascicolo archiviato, l’altrettanto legittima autorizzazione, le norme sul diritto di cronaca, la deontologia giornalistica, la non segretezza di quanto pubblicato, come poi attestato dalla recente sentenza del Commissario della Legge Saldarelli.

In quello stesso interrogatorio gli inquirenti Roberto Battaglino ed Elisa Beccari chiesero al giornalista come facesse a conoscere il numero del fascicolo che riguardava il caso Gozi-Tomasetti, quale fosse cioè la sua fonte. Il giornalista rispose di non ricordare da dove lo avesse saputo e che, comunque, il numero era noto fin dalle prime pubblicazioni della notizia, nell’aprile del 2019, come peraltro gli stessi denuncianti sostenevano nella loro querela affermando che “gli organi di stampa disponevano di copia della notizia di reato, riportandone con precisione alcuni stralci”.

Aggiunse inoltre che in ogni caso il giornalista per deontologia professionale non può rivelare la propria fonte, come previsto anche dalla legge sammarinese. Tra l’altro, anche per un’altra via si era tentato di fare rivelare le proprie fonti ai giornalisti dietro minaccia di sanzione dell’Autorità per la privacy. Authority che poi, a fronte della risposta negativa del direttore di questo giornale citando le leggi a tutela della libertà di stampa, aveva ritrattato e ritirato l’intimazione.

I giudici inquirenti, dopo qualche insistenza che ha incontrato l’opposizione del segreto professionale, terminarono l’interrogatorio.

L’aggiramento del segreto, quello sì, professionale Singolare che chi contesti la violazione di un inesistente segreto proprio, non si faccia scrupoli ad aggirare il normativamente tutelato segreto altrui. Poiché infatti la tutela delle fonti dei giornalisti è un diritto, non dovrebbe essere scavalcato. Quanto meno appare ictu oculi un’esagerazione cercare di aggirarlo quando non ci siano in ballo questioni di terrorismo, traffico internazionale di armi, di stupefacenti o reati di questa gravità.

Parrebbe un po’ una forzatura, invece, andarlo ad aggirare solo perché ci si incaponisce sul voler sapere come un giornalista, che fa il suo lavoro, abbia fatto a conoscere il numero di un procedimento penale che peraltro tutti o quasi conoscevano da mesi. Non era poi una informazione così segreta se anche la diretta interessata ne aveva parlato con esponenti politici. Senza contare che si stava indagando per pubblicazione di atti coperti da segreto che tra l’altro segreti non erano.

Insomma, un po’ come sparare a una zanzara con un bazooka: si sprecano un sacco di risorse e con tutta probabilità manco la zanzara si prende. E invece i Commissari della legge inquirenti Roberto Battaglino ed Elisa Beccari, per andare dietro acriticamente alle denunce della Banca Centrale e dell’Avvocatura dello Stato su mandato del Congresso di stato, hanno fatto esattamente questo, il bazooka e la zanzara: spreco di risorse con una rogatoria internazionale per l’acquisizione dei tabulati telefonici dei giornalisti, dai quali non è risultato nulla.

Nulla se non l’illegittimità, stando a recenti pronunce della Corte Edu, dell’atto dei Commissari della legge che hanno richiesto i tabulati telefonici dei giornalisti alla procura di Bologna, allo scopo di risalire alle loro fonti, coltivando una tesi accusatoria distorta ricavata da denunce infondate per una erronea quanto strumentale interpretazione delle norme.

Una sentenza della Cedu del primo aprile 2021 in sintesi recita: “Una richiesta del traffico telefonico di un/a giornalista (date, orari, durata delle chiamate, numeri di telefono, messaggi di testo inviati e ricevuti e la posizione della giornalista al momento di ogni chiamata o messaggio) da parte delle autorità di indagine viola l’articolo 10 della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo per un’interferenza ingiustificata nel diritto alla protezione delle fonti giornalistiche”.

La rogatoria per i tabulati I Commissari inquirenti Battaglino e Beccari, però, a prescindere dalla Cedu, la rogatoria la fanno lo stesso e scrivono alla procura di Bologna: “Considerato che nel corso dell’interrogatorio il giornalista Antonio Fabbri non è stato in grado di giustificare con quali modalità riuscì a venire a conoscenza del numero del procedimento penale poi utilizzato per richiedere l’accesso al fascicolo archiviato (…), le chiedo di accertare quali utenze telefoniche (mobili o fisse che siano) risultino intestate ad Antonio Fabbri e Carlo Filippini, quindi di acquisire i tabulati telefonici per accertare il traffico in entrata e in uscita”.

Ora, già l’impostazione della richiesta di rogatoria fa rabbrividire, cioè il fatto che un giornalista che fa il suo dovere sancito dalla legge si debba giustificare su dove abbia tratto una informazione per una propria inchiesta giornalistica, sa di forzatura. Fa rabbrividire ancora di più, poi, che dei Commissari della legge per sostenere una tesi accusatoria mossa da Enti dello Stato infondata con tutta evidenza fin dall’origine – come a posteriori ha attestato la sentenza assolutoria perché il fatto non sussiste – chiedano i tabulati di giornalisti per scavalcarne la segretezza della fonte.

Ancora peggio, vien da dire, ciò che accade successivamente. La risposta alla rogatoria arriva. I tabulati vengono probabilmente esaminati e da questi non risulta nulla di funzionale alla inconsistente tesi accusatoria. Che cosa fanno i Commissari della legge? Ordinano alla polizia giudiziaria di stralciare i tabulati telefonici dei giornalisti e di espungerli dal fascicolo, accampando un “errore materiale” nella richiesta… evidentemente accortisi di essere passati di là.

Nonostante l’infondatezza e assurdità di certi atti, oltre all’assenza di elementi di fatto e di diritto, viene spiccato il rinvio a giudizio, di cui daremo conto nei prossimi giorni.

Articolo tratto da L’informazione di San Marino pubblicato integralmente dopo le 23

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